Dunque

Conosco due gambe 

capaci di girare intorno al dunque senza mai finirci dentro, 

che confondono la prudenza con la paura 

e la possibilità con la certezza, 

che si aggirano nei pressi della felicità, 

disegnando piccoli cerchi concentrici incapaci di arrivare al centro, 

mille spirali con poca speranza e troppa coscienza. 

Sono gambe che fissano l’arrivo come se fosse il nemico, 

non come fanno gli squali quando avvistano la preda, 

ma più come fanno i bambini davanti alle stanze buie, 

con la curiosità che li divora e la paura che li strozza. 

I piedi tastano il terreno con le punte, 

aspettandosi il vuoto nel migliore dei casi 

o le sabbie mobili alla peggio. 

Sul più bello, le gambe diventano di marmo, 

per potersi dire sane e salve anche se non hanno corso il rischio 

e dichiararsi arrivate, pure se stanno sempre aggrappate alla partenza. 

Credono di aver vinto loro, 

solo perché non sanno cosa si stanno perdendo. 

Le labbra, che continuano a farsi mordere dai denti, si concedono l’esitazione ma non se la perdonano. 

Il cuore, che fa il suo dovere senza troppi sforzi, ha in serbo una pazzia 

e aspetta solo che le gambe, per arrivare al dunque, se lo portino appresso. 

Per non dire avrei potuto si, 

ma non me lo sono mai concesso.

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